(...) Dunque, in quanti modi è legittimo leggere Sogni ed altro?
C’è una potente forza discorsiva nella scrittura di Mainardi, ovunque: si tratti di romanzo o racconto, di teatro o persino di poesia, dove la massima fluidità dell’intelletto speculativo si impone in una naturale convivenza con il codice poetico, con i suoi tempi e il suo diramarsi al di là delle giornaliere regole della corrente logica comunicativa.
È una forza diretta e vibrante, prevista al più ampio cromatismo espressivo, segnalata spesso dall’interpunzione (molti esempi - ed emblematici - se ne riscontrano nei brevi romanzi Anni di attesa ed Again), all’apparenza d’impianto musicale, ma giocata invece soprattutto sulla disinvoltura di una prodigiosa libertà linguistica fondamentalmente incisa dalla marcatura di un’intonazione irrinunciabile che sovrintende all’atto di scrivere (qui, in Sogni ed altro, quella virgola: “Crede, di essere chiaro: non lo è. Crede, di essere mite: ha dentro un rancore diffidente […]”: ci si accorge, leggendo nelle fibre della frase, di quanto sia indispensabile, al testo e al contesto, la spinta dovuta a quei due distinti livelli di tono).