Caro Illica,
(ci) si preoccupa troppo
di ciò che diranno i minchioni
Giacomo Puccini
Dongiovanni tenero e appassionato, divertente, ribelle, focoso, boccaccesco, piccante, osceno, il Maestro, celebre tombeur de femmes, spunta fra le nebbie e i chiaroscuri della palude di Torre del Lago abbattendo le sue prede femminili con la stessa facilità con cui caccia le folaghe. Un fatalone, ma un po’ anche babbasùn’, che rimane invischiato, pure pesantemente, nelle sue vicende sentimentali. Che non sempre son rose e fiori, baci, dolci sorrisi e languide carezze, ma anche ombrellate, piatti rotti, ferite sul capo di oggetti contundenti che dovranno passare per graffi di rovo. Un romanzo esuberante e bizzarro questo, ove Giacomo Puccini è raccontato, ai cento anni dalla morte, da Antilisca, un animale straordinario che nel suo immaginario abitava le terre intorno a Torre del Lago. Ne viene fuori una narrazione raffinata e divertente da parte di detta creatura che, a furia di frequentare il Maestro, di lui aveva conosciuto vita, morte e miracoli e finito per comporre pure opere in musica e in poesia. Una cicalata, per usare un termine amato dal Puccini, tra il vero e il fantastico, con larghe aperture al bizzarro e al surreale, in cui l’Autrice compie un cammino narrativo caratterizzato da forte ironia e lucida follia.