I ritmi del suo tessuto lirico oscillano tra una ansiosa volontà di dire, di chiarire il senso dei suoi paesaggi d'anima, di comunicare l'humus segreto doloroso delle derive, dei disinganni, della solitudine e dell'angoscia che gli derivano dalle contraddizioni, dalle antinomie del suo transito umano nel tempo, dagli aculei della consapevolezza che è necessario guardare con distacco le cose di ogni giorno e costruirsi una immagine critica e vera della contemporaneità e trascinarsi in perpetua transumanza tra ricordanze, rimpianti e tentazioni di abbandoni e di ritorni. Sirio Guerrieri
Il poeta Giovanni Lorè, in sintesi, realizza appieno ciò di cui l’accezione comunicativa, appunto, del suo linguaggio ha bisogno per delinearsi in una sorta di unicità, liberata alla base da pregresse poetiche passivamente contemplative e, al vertice espressivo, lanciata a rifondare i termini del vissuto e di una mitologia interiore. Sì, perché l’espressione necessaria al poeta, (ecco l’unicità), si riflette senza fatica nell’espressione necessaria alla condizione fruitiva: entrambi, poeta e lettore, riconquistano, sulla stessa lunghezza d’onda, le significazioni dell’Io riflesse dai codici provenienti, anche a livello allusivo, dalla natura, dal mondo esterno e circostante, sempre imprescindibile, e dalla memoria; entrambi devono – e vogliono – aggirarsi nei luoghi e tra i segni invitanti alla meditazione, alla decifrazione dell’enigma percettivo, alla dimensione laica – ma non per questo meno universale – di una concezione mistica dell’essere. E questi versi la contengono. Rodolfo Tommasi
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